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giovedì 26 febbraio 2015

Salvatore Settis e la bellezza del mondo

Nel primo capitolo del suo nuovo libro "Il mondo salverà la bellezza?" pubblicato da Ponte alle Grazie e dedicato all'urgenza di un ripensamento del nostro rapporto con le risorse limitate del pianeta, Salvatore Settis cita Isaia (5,8,9): 
«Guai a voi che ammucchiate casa su casa e congiungete campo a campo finché non rimanga spazio e restiate i soli ad abitare la Terra. Ha parlato alle mie orecchie il Signore degli eserciti. Edificherete molte case ma resteranno deserte per quanto siano grandi e belle, e non vi sarà nessuno ad abitarle». 

Perché Isaia? Perché, scrive Settis", "la speculazione edilizia, la spietata cementificazione del territorio senza nessun rapporto con la crescita demografica (che invece, come tutti sanno, non c’è), l’accumulo di proprietà terriera in funzione della mera rendita fondiaria hanno la conseguenza di sigillare il suolo, impedire al suolo di respirare, di esercitare le sue funzioni ecologiche di sistema. Questo passo di Isaia, insomma, mostra il valore del pensiero profetico, evidenziando un accostamento, molto efficace anche nel nostro contesto, tra la terra coltivata, o coltivabile, e le abitazioni, che si affollano anche per il cieco impulso dell’uomo a cementificare."

Sul tema della devastazione dell'ambiente, della sua cannibalizzazione, un articolo a firma del noto studioso è apparso su Repubblica lo scorso 12 febbraio. Lo pubblichiamo integralmente.

Ortica

”«È urgente elaborare un pensiero comune pratico, uno stesso insieme di convinzioni volte all’azione, innescata dal bene comune e indirizzata alla politica». Sono parole di Jacques Maritain all’Unesco, nel clima della guerra fredda (1947). Ma valgono ancora oggi come un’agenda minima per reagire alla devastazione della natura, al cieco accanimento con cui (gli italiani in prima linea) continuiamo a distruggerla cannibalizzando ambiente e paesaggi. Si suol dire che «la bellezza salverà il mondo». Sono parole che Dostoevskij (nell’Idiota) mette in bocca al principe Myškin, e che in quel contesto hanno un contenuto intensamente mistico. Ma non dobbiamo usarle come un mantra auto-assolutorio: dovremmo sapere, invece, che la bellezza non salverà il mondo se noi non sapremo salvare la bellezza.
Intuizioni religiose e pensiero laico devono convergere, secondo le parole di Maritain. Proviamo a darne qualche esempio. Isaia 5,8: «Guai a voi che ammucchiate casa su casa e congiungete campo a campo finché non rimanga spazio e restiate i soli ad abitare la Terra. Ha parlato alle mie orecchie il Signore degli eserciti: “Edificherete molte case ma resteranno deserte per quanto siano grandi e belle e, non vi sarà nessuno ad abitarle”». Parole che paiono scritte per l’Italia di oggi, dove si edifica “casa su casa” in nome della favoletta secondo cui solo l’edilizia è motore di sviluppo; ma i 5 milioni di appartamenti invenduti e la cementificazione del territorio senza nessun rapporto con l’inesistente crescita demografica dimostrano che non è così. Al di là di questa suggestione, il passo di Isaia evidenzia efficacemente il contrasto fra crescita delle case e devastazione dei campi coltivati.
Altro esempio tratto dai libri sacri, il detto Ama il prossimo tuo come te stesso, che è già nel Levitico e poi nei Vangeli. Commentandolo, Enzo Bianchi ha scritto che questo precetto «non basta più; oggi bisogna dire: “Amerai la Terra come te stesso”»; perché la Terra non è «uno scenario per l’uomo, ma costituisce una comunità la cui relazione è stretta e decisiva per gli animali, per le piante, per noi. In cui uno stesso spazio è condiviso ed abitato ed in cui vive un unico destino, in cui ci deve essere solidarietà per abitare armoniosamente in pace la Terra ». Ma che cosa voleva dire Nietzsche, quando (in una pagina del Così parlò Zarathustra) scrive: «Il vostro amore del prossimo è cattivo amore per voi stessi. Vi consiglio io forse l’amore per il prossimo? No; io vi consiglio la fuga dal prossimo e l’amore verso i più lontani; perché più nobile dell’amore per il prossimo è l’amore per i più lontani e per l’avvenire. Il “futuro” e “quel che è più lontano” siano dunque, per te, la causa che genera l’oggi». Dietro l’apparente svalutazione del precetto evangelico emerge la sua radicalizzazione: in nome della superiorità del futuro sul presente, Nietzsche suggerisce che dobbiamo amare non tanto i “prossimi”, troppo simili a noi, bensì i lontani: soprattutto i lontani nel tempo, le generazioni future. È per loro che dobbiamo preservare la Terra.
Nella vivace discussione sui diritti delle generazioni future, i temi ricorrenti sono la protezione del clima e dell’atmosfera, la conservazione della biodiversità, la tutela dell’ambiente, la gestione delle fonti di energia e dei rifiuti, il controllo delle biotecnologie, la tutela del patrimonio culturale. Il nesso forte tra bellezza e salute (del corpo e della mente), e dunque fra “paesaggio” e “ambiente”, è parte essenziale di questa storia, che ha radici assai antiche. In un trattato attribuito a Ippocrate, Arie acque luoghi(fine del V secolo a.C.) è chiaro il nesso fra malattia e ambiente; perciò le patologie vi sono distinte fra “comuni” a tutti e “locali”, cioè legate a infelici condizioni ambientali. Fu questa una preoccupazione costante della medicina greca, e non solo: un decreto di Atene del 430 a.C. vietava «di mettere i pellami a imputridire nel fiume Ilisso, di praticare in quell’area la concia delle pelli e di gettarne gli scarti nel fiume». Nello stesso spirito, Platone scrive nelle Leggi che «l’acqua si inquina facilmente; perciò è necessario proteggerla per legge. E la legge deve punire chiunque corrompa l’acqua sapendo di farlo, condannandolo a pagare un’ammenda e a ripulire l’acqua a proprie spese».
Oggi dobbiamo ripetere gli stessi identici principi, ma estendendo enormemente lo sguardo. Nessun crimine ambientale è abbastanza lontano da noi da poterlo ignorare: non la deforestazione in Brasile, non il “continente di plastica” (grande quattro volte l’Italia) che galleggia nel Pacifico, non la distruzione di specie vegetali e animali nel Madagascar, non le conseguenze dei disastri nucleari in Ucraina e in Giappone. In questo pianeta senza vere lontananze, “l’amore verso i più lontani” fa tutt’uno con la cura per noi stessi. Ma le generazioni future hanno davvero diritti, anche se non sono in grado di rivendicarli? E in nome di che cosa noi dobbiamo rappresentare oggi i loro diritti di domani?
Distinguiamo, come facevano i Romani, gli immutabili principi del Diritto (ius)dalla mutevole varietà delle leggi (leges),calibrate ad arbitrio dei governanti. Orientiamo la bussola sulle istanze di fondo di un alto sistema di valori incardinato sulla protezione della natura e della salute umana, ma anche sull’etica pubblica e la moralità individuale. Le singole leggi possono conformarsi o meno a questi alti principi, ma quando non lo fanno la disobbedienza civile è un dovere. Disobbedienza ispirata dalla nozione di pubblico interesse, che rilancia temi assai antichi: perché quando gli antichi Statuti dei Comuni e le leggi degli Stati preunitari parlavano di bonum commune o di publica utilitas avevano di mira proprio i diritti delle generazioni future, ed è per questo che hanno costruito per noi le città che abitiamo, i paesaggi che andiamo devastando.
Nel suo Principio responsabilità(1979), Hans Jonas scrive che «la comunanza dei destini dell’uomo e della natura, riscoperta nel pericolo, ci fa riscoprire anche la dignità propria della natura, imponendoci di conservarne l’integrità ». È «l’imperativo ecologico», che secondo Peter Häberle comporta «un nuovo sviluppo dello Stato costituzionale, che deve ormai assumere responsabilità verso le generazioni future, e perciò è obbligato a tutelare l’ambiente, deve cioè diventare uno Stato ambientale di diritto». È di qui che nascono la nozione di ecocidio e la proposta di creare un tribunale internazionale contro i crimini ambientali. È di qui che ha origine il nesso forte fra diritto ambientale e diritto alla salute, che si sta affermando nelle nuove Costituzioni come quella della Bolivia (2009), che prescrive «un ambiente sano, protetto ed equilibrato» per «gli individui e le comunità delle generazioni presenti e future» (art. 33). Ma la priorità del bene comune è centralissima già nella nostra Costituzione, in particolare nell’art. 9 (tutela del paesaggio e del patrimonio artistico), nel suo intimo nesso con l’art. 32 (diritto alla salute), evidenziato dalla Corte Costituzionale. Ambiente, paesaggio, beni culturali formano un insieme unitario e inscindibile con la cultura, l’arte, la scuola, l’università e la ricerca. Con esse, concorrono in misura determinante al principio di uguaglianza fra i cittadini, alla loro «pari dignità sociale» (art. 3), alla libertà e alla democrazia. Per la nostra Costituzione, attualissima ma inattuata, la tutela dell’ambiente, del paesaggio, dei suoli agricoli è strumento di libertà e di democrazia. Perciò è triste che si parli tanto di cambiare la Costituzione, e così poco di metterne in pratica i principi e lo spirito.”



mercoledì 11 febbraio 2015

Mendrisio e cedri di Palazzo Turconi: perché tanta fretta?


La fretta con la quale sono stati abbattuti i due cedri sul cantiere del futuro Teatro dell'Accademia, fretta che -avevamo denunciato- aveva persino indotto il municipio a rilasciare l'autorizzazione al loro taglio in barba all'interpellanza sulla loro sorte, sta sollevando qualche interrogativo.

In proposito, ha preso posizione il gruppo Insieme a Sinistra: "I cedri secolari dietro i Capuccini sono stati abbattuti senza pietà, prima ancora che il Municipio rispondesse all'interpellanza presentata dai Verdi. E' sconcertante! Insieme a Sinistra ritiene questo modo di procedere profondamente irrispettoso e lesivo del funzionamento della democrazia. Il Legislativo, chiamato a svolgere il suo fondamentale ruolo di vigilanza, è stato scavalcato. Mentre ai due cedri è andata molto peggio. Come minimo ci saremmo aspettati una sospensione dei lavori e una risposta durante la prosssima seduta del Consiglio Comunale, il 23 febbraio".

Come mai tanta fretta? si chiede ancora Insieme a Sinistra. La domanda è più che lecita e merita una risposta. Aspettiamo con impazienza. 

Ortica

martedì 10 febbraio 2015

La fine ingloriosa dei due cedri di Palazzo Turconi

26 gennaio 2015: inizio dei lavori sul cantiere del futuro teatro dell'architettura di Mendrisio. 9 febbraio 2015: le motoseghe entrano in azione e abbattono i due maestosi cedri che si ergevano sul retro dell'ex Ospedale Beata Vergine. Tra le due date, un'interpellanza dei consiglieri comunali verdi Tiziano Fontana e Claudia Crivelli-Barella. Rimasta inevasa.  Tale fretta non fa onore né al municipio di Mendrisio e nemmeno all'Accademia di Mendrisio, nonostante il pronto rammarico espresso per l'intervento. Che, cela va-de-soi, a suo avviso era inevitabile. Il cantiere -si è giustificata- avrebbe accelerato la fine di uno degli alberi già morente e compromesso l'altro, troppo vicino al primo per sopravvivere. Alberi centenari sacrificati sull'altare della prevista riqualifica dell'area, riqualifica il cui significato, tuttavia, differisce profondamente da quello attribuitole da Tiziano Fontana. E ha fatto bene a puntualizzarlo:"I veri architetti rispettano profondamente il contesto in cui inseriscono le loro opere e proteggono il patrimonio storico e naturalistico per il suo valore culturale e civile".

Altrettanto amareggiata Claudia Crivelli-Barella, di cui riproduciamo integralmente l' intervento sul portale "ticinonews":

“Ti auguro di vivere in tempi interessanti” era nell’antica Cina una maledizione, essendo definiti interessanti i tempi di guerre e delle carestie che ne facevano seguito…Anche noi viviamo in tempi interessanti, viene da pensare girando per le strade intasate dal traffico, e senza rispetto per niente e per nessuno che non siano i temporanei interessi economici dell’ultima impresa in corso, etichettata con la sigla di moda che varia da “valore aggiunto” a “eco” a “cultura”: sigle vuote alle quali ci hanno abituati decenni di pubblicità intese solo ad incrementare i profitti.In un’altra cultura, differente dalla nostra, il Giappone, si usava onorare gli alberi come testimoni di un Tempo sacro al quale l’umano si inchinava. È ancora usanza compiere dei giri attorno ai grandi alberi secolari, riflettendo sulla propria vita e augurandosi che ogni anello fatto benedica ciascuno degli anni che restano da vivere sulla terra.

Da noi, gli alberi si tagliano appena danno fastidio. Si dice che sono malati, e certo che lo sono: incurie, costruzioni selvagge, inquinamento, disamore…anche i bambini e gli anziani non se la passano bene, e tutti noi nel mezzo arranchiamo in qualche modo.Ho un nodo alla gola oggi, guardano le fotografie dei cedri abbattuti vicino a Palazzo Turconi, e passerò per un ultimo saluto quando scenderà sera. Non voglio scagliare improperi e maledizioni, ma non intendo neppure per ora ascoltare le spiegazioni che già conosco, le stesse usate per gli altri alberi abbattuti per far posto al cemento che avanza. Mi inchino alla loro storia, e li ricorderò finché avrò vita, temendo che i bambini che ora stanno crescendo non potranno ricordare una Mendrisio dove ancora esistevano alberi maestosi.

Gli alberi non votano, non hanno valore commerciale, non sono importanti. Per alcuni. Per me, come era per gli antichi druidi ma anche per le persone che incontro e che piangono per la sofferenza degli alberi, la loro scomparsa è un dolore fisico.

Non ho molto da aggiungere, eccetto un suggerimento ai promotori della "Residenza ai Cedri" di Via Turconi 2 la cui consegna è prevista nel giugno di quest'anno. Siete ancora in tempo per trovarle un nuovo nome. "Residenza agli ex cedri" sarebbe più azzeccato.

Ortica


domenica 8 febbraio 2015

Il teatro dell'Accademia e i due cedri monumentali a rischio



A chi mai verrebbe in mente di abbattere due monumenti della natura come questi? 

immagine:"La Regione"

Eppure, questi due magnifici cedri potrebbero fare una brutta fine per il solo torto di intralciare il cantiere per l'edificazione del teatro dell'architettura, progetto promosso e voluto dall'Accademia  d'architettura di Mendrisio. A denunciarlo, due consiglieri comunali verdi di Mendrisio (Tiziano Fontana e Claudia Crivelli Barella)  in un' interpellanza  ripresa da "La Regione". Dal momento che il comparto - sottolineano- , è catalogato dall'ISOS (Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere) quale obbiettivo di salvaguardia A, i due alberi sono tutelati o inventariati nel piano del paesaggio?

Abbiamo spesso parlato di alberi. Gli alberi meritano di essere salvaguardati alla stessa stregua del nostro patrimonio, poiché  parte della nostra storia e della nostra memoria collettiva. Chi non ricorda la vasta ondata di indignazione sollevata a suo tempo dal ventilato abbattimento dei cedri della clinica Moncucco? E come non pensare all'interrogazione  di qualche anno fa al Municipio di Lugano -battezzata  significativamente "Gli alberi sono di tutti e dunque nessuno se ne occupa?"- che sollevava il problema dell'inutile messa a rischio degli alberi durante i lavori sui cantieri pubblici e privati? Una fra le tante, che in questi ultimi anni e a scadenze regolari mettevano all'indice la scarsa tutela del verde cittadino e sottolineavano la necessità di difendere il patrimonio botanico da interventi scriteriati e abbattimenti discutibili.

Da anni, gli alberi sono sotto tiro. Eppure  un regolamento del verde pubblico è rimasto lettera morta malgrado i reiterati appelli dei verdi luganesi. Benvengano, perciò, interventi come quelli di Tiziano Fontana e Claudia Crivelli Barella volti a preservare, anche a Mendrisio, "un angolo prezioso di verde pubblico".

Ortica

mercoledì 4 febbraio 2015

Ruspe a Pian Povrò


Le ruspe a Pian Povrò continuano a far discutere, quanto la decisione pilatesca del Consiglio di stato (ne avevamo parlato in un post dello scorso 19 novembre) all'appello lanciato dai Cittadini per il territorio di Massagno di fermare l'edificazione di questa pregiata zona agricola alla periferia di Lugano. Vi proponiamo l'articolo apparso sul settimanale Azione lo scorso mese di gennaio.
Ortica 

martedì 3 febbraio 2015

Bré e la svolta sostenibile del CC di Lugano

Ci sono voluti ben cinque anni, per vedere accolta (seppur parzialmente) la mozione interpartitica che nel 2010  chiedeva di porre un freno alla speculazione edilizia sul Monte Bré mediante la revisione del Piano regolatore. Eppure questi cinque anni   hanno funto da  laboratorio, da fucina democratica, che ha visto confrontarsi (spesso a muso duro) i fautori di una politica dello statu quo e quelli di una pianificazione condivisa tra cittadini e autorità, in primis l'associazione "Uniti per Bré" nata proprio per salvaguardare il villaggio e l'ambiente circostante da una nuova colata di cemento nella pregiata zona cosiddetta "Ai piani".

da "Uniti per Bré"

La svolta impressa ieri dal Consiglio comunale con l'accettazione all'unanimità di tre dei cinque punti della mozione  (allestimento di un nuovo piano regolatore, di un piano particolareggiato delle zone limitrofe e la ridefinizione delle zone edificabili) è emblematica e significativa di come la percezione del territorio stia mutando- e in meglio. Si fa strada una nuova sensibilità che nel territorio vede sempre di più un bene comune da preservare e sempre di meno una risorsa da saccheggiare. Una trasformazione che si innesta in un discorso molto più ampio, in atto un po' ovunque, alla nostre latitudini e non solo. Pensiamo, a livello federale, alla nuova Legge sullo sviluppo territoriale o,  per quel che concerne il nostro Cantone, alla recente riuscita delle due iniziative "Spazi verdi per i nostri figli" e "Un futuro per il nostro passato" ma anche, a livello istituzionale, della brusca frenata impressa dal Dipartimento del territorio alle scelte pianificatorie del municipio di Mendrisio per il comparto di Valera (leggete in proposito il commento di Daniela Carugati "Un mondo alla rovescia" apparso su "La Regione").

La nuova realtà venutasi a creare con le aggregazioni e l'accorpamento nella grande Lugano (ormai soltanto tale in quanto a superficie...) anche di villaggi inseriti nell'Inventario federale ISOS -come Bré, appunto-  impone un ripensamento di quello che è l'attuale contesto urbano: non più locale ma regionale. Lungimirante in proposito, il commento dell'ingegner Pierino Borella apparso nel novembre di due anni fa sul "Corriere del Ticino". Oggi, oltre muoverci in nuovo contesto urbano regionale, occorre fare i conti con i piani di paesaggio comprensoriali previsti dalla nuova LST.  La revisione del PR di Lugano - scriveva Borella - si presenta pertanto come un'opportunità unica per allestire un  disegno paesistico con importanti ricadute sulla qualità urbana e "dovrebbe essere incorniciata in un progetto di paesaggio comprensoriale regionale".

La decisione di ieri del CC potrebbe essere il primo, importante passo in questa direzione. Tanto più che un progetto paesaggistico di ampio respiro è imprescindibile da quello che l'architetto e docente all'Accademia di Mendrisio João Gomes da Silva (citato da Borella) considera "un processo d'ascolto per capire le caratteristiche intrinsiche di quel luogo, per comprendere l'intensità e le potenzialità delle energie che determinano le funzioni che sostengono quel dato paesaggio".  Partecipazione condivisa, progetto d'ascolto, bene comune, rivisitazione dei margini tra edificabile e non edificabile ...benvenga la nuova svolta voluta, fortissimamente voluta, da tutti i gruppi e le associazioni di cittadini che in questi anni si sono  battuti con tenacia e caparbietà per una grande Lugano più rispettosa dei grandi valori storici e culturali del suo comprensorio.

Ortica