SEGNALATE I LUOGHI DEL CUORE E DELLA PANCIA

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martedì 19 luglio 2011

Lugano come Berlino

"Che la città di Lugano si impegni ora per conservare, tra le migliaia di edifici del suo parco immobiliare, quei 120 circa ai quali gli esperti dell'Ufficio cantonale dei beni culturali attribuiscono un valore storico architettonico notevole, è veramente una piccola cosa e non ha niente a che fare con la nostalgia: è un'operazione culturale, inderogabile". A dirlo, concludendo un lungo intervento sul Corriere del Ticino di oggi, è Riccardo Bergossi, vicepresidente della Stan. Piccola cosa, perché a "Lugano, il rapporto tra gli edifici costruiti prima e dopo la guerra è a occhio e croce quello di Berlino, città che è stata rasa al suolo per i bombardamenti". La differenza tra Lugano e Berlino? Che noi abbiamo conseguito lo stesso risultato, ma senza bombe ...
Ortica

mercoledì 13 luglio 2011

Demolire ma solo per migliorare

Cara Icchia,
a chi accusa chi si batte per la tutela del patrimonio architettonico e paesaggistico di voler congelare la città, consiglio di leggere l'equilibrato intervento di Melitta Jalkanen pubblicato oggi sul Corriere del Ticino. In merito al dibattito in corso da mesi su Lugano Demolition City, la consigliera comunale dei verdi ammette sì la necessità di adattare la città alle esigenze che cambiano - "Non vogliamo una Lugano-Ballenberg" - a patto che l'intervento la migliori e non la peggiori. Come dire: approfittiamo delle esigenze di sviluppo per migliorare il costruito. "Quando si demolisce un edificio o si distrugge un albero, occorre che vengano sostituiti da qualcosa di più bello e di più utile". Anche perché "distruggere la bellezza di Lugano comporta un danno economico". Forte del consenso sulla necessità di fermare la cementificazione - come chiedono da più parti cittadini e politici -, benvenga il rilancio della mozione per un regolamento per il verde pubblico e privato, scrive. "A suo tempo la Commissione di Pianificazione la riteneva "interessante" ma che avrebbe "limitato" gli interventi edili... infatti era precisamente questo lo scopo. Necessario quattro anni fa, oggi lo è ancora di più".
Ortica
 

lunedì 11 luglio 2011

Via D'Alberti: licenza concessa malgrado l'opposizione

Cara Icchia è incredibile,
hanno concesso la licenza edilizia per Via D’Alberti! Un vero gioco di prestigio che è riuscito a evadere l'opposizione - come mi informa chi l'ha inoltrata - grazie "all'articolo "salvatutto"che “concede facoltà al Municipio di derogare alle prescrizioni di PR, al fine di autorizzare interventi architettonici ed urbanistici di qualità che facilitino il raggiungimento degli obiettivi pubblici e risultino meno limitativi per i proprietari”.
Complimenti!
Ortica

venerdì 8 luglio 2011

Incredibile ma vero

Cara Icchia,
certamente la notizia non ti sarà sfuggita. L'esempio -ancora una volta- ci viene da Oltralpe: come  evitare la demolizione di uno storico edificio per fare spazio alla posa di nuovi binari alla stazione di Zurigo-Oerlikon? "Elementare Watson": spostandolo 60 metri più in là. L'incredibile salvataggio è stato reso possibile dall'accordo tra la città di Zurigo, le FFS, la ABB (proprietaria dell'immobile) e la società immobiliare Swiss Prime Site. Costo dell'operazione? 11 milioni di franchi. Verrebbe da dire: è proprio vero che quando c'è la volontà politica (e anche i soldi)... tutto è possibile!
Ortica

Costruire per chi?

Cara Icchia,   
anche al  Bertaccio a poco a poco le ruspe inghiottono quel che ancora rimane di un tempo.  In via Regazzoni - dove, complice una modifica del PR approvata nel 1992, la zona è stata portata da R5 a R7-  al numero 18  le ruspe hanno fatto il loro lavoro in previsione di una nuova edificazione.  Appena più in là, al numero 16, resiste ancora una bella casa attorniata da palazzi. Un oggetto ben curato, con una magnifica vista  e uno splendido giardino: un lusso, di questi tempi!  Che però potrebbe presto essere sacrificato se il proprietario volesse -come è suo diritto- approfittare dei vincoli che gli permettono il maggiore sfruttamento del fondo, analogamente a quanto è già stato fatto due numeri più in là. Il PR precedente -come ci segnalano gli amici massagnesi dei Cittadini per il territorio- teneva ancora conto dell'importanza di conservare una vista aperta sulla città dalla stazione. Oggi, quell'ultimo brandello di vista sul golfo potrebbe scomparire.


foto Cittadini per il territorio
Un caso -l'ennesimo- di  interesse pubblico e privato che non sempre collimano.  I cittadini, a giusto titolo, rivendicano un freno alla cementificazione che avanza, ma questo deve comportare un ripensamento del PR che non penalizzi i proprietari di stabili d'epoca. Occorre chiederci: quale sviluppo vogliamo per la nostra città? Una crescita puramente quantitativa a beneficio di pochi  o una crescita qualitativa a beneficio di tutti? Perché, come ha scritto ultimamente Raffaella Martinelli, "serve una crescita intelligente": "il territorio, nel suo insieme, è certamente un bene comune e il suo sviluppo è certamente un tema di primario interesse per tutti i cittadini che ogni giorno vivono la città".
Ortica
 

giovedì 7 luglio 2011

Il rispetto per l'esistente

Cara Ortica, ecco sottostante un articolo che ho trovato oggi su La Stampa. Buona lettura! Icchia

"Sono massicci, pesanti, inamovibili. Durevoli, immutabili, monumentali. A occhio si direbbe che nulla sia più solido di un edificio. Nulla più concreto di un progetto realizzato. Nulla più affidabile di una costruzione di mattoni. Mutui subprime e terremoti a parte, l’architetto inglese Edward Hollis smonta pietra dopo pietra tali false certezze. Ne svela - con aneddoti, fatti storici, dati architettonici alla mano - la natura di (non incolpevole) illusione. Risveglia con l’arma potente della narrazione stuoli di progettisti e cultori dal loro sogno: quello di una grande architettura atemporale e perfetta. E in una serie di tredici racconti - tutte storie vere, ma appassionanti e romanzesche come finzioni - narra La vita segreta degli edifici (Ponte alle Grazie, 365 pp. 22 euro) dei quali, in controtendenza con una secolare aspirazione europea, rifiuta di sottoscrivere il certificato di morte. «Aspira al funereo stato di monumento» l’architettura che si pretende a tutti i costi di conservare, che «per restare bella non deve mutare», nota provocatoriamente Hollis. Sa bene però che risibile suonerebbe la sua provocazione «al di là dei confini dell'Occidente». Oltre i limiti ristretti di un’Europa «afflitta dall’ossessione della durata», spiega. O, come in sintonia inconsapevole con Hollis rimarca lo scrittore Luca Doninelli nel suo Cattedrali (Garzanti, 273 pp. 18,60 euro) «presa dalla deplorevole passione per l’Autentico e l’Antico (due concetti del tutto incomprensibili a est di Bucarest)». I temi su cui tali considerazioni, estratte dalla lettura congiunta dei due testi citati, inducono a riflettere sono molti. La pratica della «tabula rasa» e della radicale ricostruzione di palazzi e città diffusa in Oriente e contrapposta alla protezione dei centri storici e alle politiche di conservazione squisitamente occidentali. Il rischio mortificante di trattare le opere architettoniche come sculture. L’ambiguo concetto di «autorialità» in architettura, disciplina in cui oggi più che mai il soggetto creativo attira i riflettori come una star, ma i cui prodotti sono sempre fatalmente consegnate al tempo, alla storia e all'uso imprevedibile di inquilini e fruitori. Le misteriose trasmigrazioni e trasfigurazioni del genius loci - l’anima di un edificio, una città, una civiltà - che inevitabilmente soggiace alle sue plurime reincarnazioni, alla mutevolezza del gusto, all’eterogenesi dei fini, all’alternanza dei regimi politici, agli scontri religiosi e ideologici. Ma questa è pura teoria. A scanso di vuote speculazioni (edilizie…) entrambi gli autori in questione preferiscono percorrere la via più avventurosa e avvincente della narrativa. È racconto autobiografico di viaggio quello di Doninelli che, in trasferta a Londra, Parigi, New York, Gerusalemme, sente via via pulsare il cuore di quei luoghi ai grandi magazzini Harrods o nel «ventre della città» ormai seppellito e già sviscerato a suo tempo da Emile Zola; al Terminal della Grand Central dove, nel torsolo della Grande Mela, «ogni materiale sferragliante» viene arrestato alle soglie di Manhattan o sul limite estremo del Western Wall che tuttora fulcro vivo, nervo scoperto, fondamento di venerabile «cattedrale», marca il sito di un tempio che non c’è più. Anche Edward Hollis termina sul Muro Occidentale - o Monte del Tempio, o Muro del Pianto, o Nobile Santuario, o ala di al-Buraq, cioè del destriero fatato di Maometto - la bellissima rassegna che aveva aperto raccontando la storia del Partenone. Approda così a quella linea d'ombra - o linea di fuoco - che, presidiata da guardie armate, raggiunta da pellegrini devoti, bagnata dal sangue dei soldati, sta lì da millenni a segnare l'inizio e il confine dell'Occidente, l’incontro-scontro delle tre religioni monoteiste, la traccia di divisioni settarie incomponibili e a rappresentare un simbolo tanto complesso e irriducibile da non ammettere di essere chiamato con un solo nome. Quello del Kotel, come gli ebrei chiamano semplicemente «il muro», è il caso eclatante di un luogo talmente carico di significati da resistere a ogni tentativo di musealizzazione e monumentalizzazione. La vita di molti altri celeberrimi edifici visitati e venerati come monumenti o musei - dimostra Hollis - è forse più segreta, ma non meno palpitante. Il Partenone fu una chiesa cristiana per oltre un millennio, più a lungo di quanto non abbia vissuto come tempio di Atena; divenne anche moschea islamica sull’acropoli prima che la Santa Lega dei crociati lo distruggesse inaugurando la serie dei suoi saccheggi e ricostruzioni, l’ultima delle quali, virtualmente realizzata nell’Akropolis Museum di Bernard Tschumi lo restituisce alla sua concezione originaria e alla perfezione di un’idea. La basilica di Hagia Sophia a Costantinopoli, emblema magnifico del Sacro Romano Impero, fu percepita come «un osso nella gola di Allah» dagli ottomani che se la ingoiarono, trasformandola nell’Ayasofya di Istanbul. La Grande Alhambra di Granada riconquistata ai mori da Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, si vide affissa una croce cristiana sulla cupola, accolse in luna di miele l'Infanta del Portogallo e il suo sposo Carlo V, che vi abitò da imperatore poliglotta senza comprendere né lo scopo né il significato delle iscrizioni arabe che l’ornavano. E Venezia. Che nacque come una Costantinopoli trasfigurata - a sua volta una trasfigurazione di Roma, a sua volta una trasfigurazione della Grecia - e oggi vede i suoi ponti, palazzi e cupole trasposti sulla Strip di Las Vegas. Segreta la vita, sorprendente il destino di quel portale adorno di quattro cavalli di bronzo che, rubato da Enrico Dandolo alla chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli, trapiantato di fronte a San Marco quale emblema del trionfo della Serenissima, sottratto poi a Venezia da Napoleone che volle gloriarsene come prima di lui Costantino, Nerone, Augusto, forse Apollo, fu riprodotto, a beneficio di giocatori e bon vivant, all’ingresso di un casinò." La Stampa 7 luglio 2011

martedì 5 luglio 2011

Wiki Loves Monuments

Cara Icchia,
un modo per sensibilizzare e avvicinare le persone al nostro patrimonio e all'importanza della sua tutela è anche quello di ... indire un concorso fotografico. L'idea, nata lo scorso anno nei Paesi Bassi con "Wiki Love Monuments", ha permesso di raccogliere e poi mettere in rete 12'500 (!) fotografie dei più bei siti e monumenti olandesi. Visto il successo, quest'anno il progetto è stato esteso ad altri 16 paesi europei, tra cui la Svizzera grazie alla collaborazione della Società di storia dell'arte in Svizzera. Il concorso ha appena preso il via a inizio luglio e chiuderà a settembre. 
foto di Saint-Saphorin-Lavaux pubblicata da Wikimedia.ch

Cosa aspetti? Tutte le informazioni le puoi trovare su http://www.wikilovesmonuments.ch
Ortica