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giovedì 28 settembre 2017

A Lugano ancora ville a rischio: paghiamo lo scotto di una variante PR poco coraggiosa


  

Che un piano regolatore unitario sia della massima urgenza lo dimostra il consenso unamime con il quale il legislativo luganese ha approvato, lo scorso mese di maggio, lo stanziamento di quasi un milione e mezzo destinato a finanziare l'unificazione dei 21 piani regolatori in un unico Masterplan.  Se non bastasse, a dimostrare l'urgenza di un PR unitario, le note vicissitudini di Gandria - dove nonostante la bocciatura da parte del TF del progetto Borgo degli Ulivi, l'edificabilità dei terreni non è stata rimessa in discussione - come pure la mozione inoltrata da un gruppo di consiglieri comunali per avviare al più presto una variante di PR che consenta di dezonare al pian Scairolo il comparto del Corona. Occorre evitare che la transitorietà nella quale ci si trova possa andare ulteriormente a scapito della zona, già cementificata ad oltranza. 


E sempre nel Luganese, fa riflettere l'ennesimo caso di una villa storica a rischio abbattimento la cui tutela era stata suggerita dal Cantone. La villa in questione si trova a Massagno, comune dove in passato sono state consentite demolizioni scellerate, come quelle che hanno visto l'annientamento dello storico quartiere di Santa Lucia. Ora rischia di essere abbattuta una villa di inizio Novecento che il Cantone avrebbe messo sotto tutela quale bene di interesse locale, ma che il comune non ha voluto inserire nella lista di variante di PR all'esame di Bellinzona. Leggo che per fare spazio all'ennesimo parallelepipedo, verrebbero abbattuti due faggi che lo stesso municipio ritiene meritevoli di conservazione! In un passato recente, Massagno ha subito una profonda trasformazione che ha visto cadere sotto le ruspe innumerovoli testimonianze della sua storia. Non rimane che sperare nel preavviso cantonale.


Rimaniamo sempre nel Luganese, questa volta a Lugano. Che la lista di beni protetti inseriti nella variante di PR approvata sei anni fa sia lacunosa e meritevole di essere ampliata lo dimostra anche il caso del quartiere di Montarina. Correva l'anno 2011 e in un'intervista al GdP, Giordano Macchi, allora presidente della commissione della pianificazione all'epoca dell'approvazione del messaggio muncipale sulla variante dei beni culturali di interesse cantonale e locale,  si esprimeva così: "L'elenco è un ottima base di partenza, ma è evidente frutto di un compromesso. Da una lista preparata dai tecnici, neppure tanto lunga, il Municipio ha stralciato molti oggetti. Quindi si tratta di una lista troppo corta".  

Parole profetiche.  Infatti, il fatto che la variante fosse il risultato di un compromesso lo si misura oggi.  Nella stessa intervista,  Macchi tacciò la politica di tutela del municipio "da molto banda a inesistente. A parole tutti vogliono difendere il bello. Poi nella realtà vincono il denaro e il cemento."  Re Giorgio nel frattempo è caduto, le bellezze storico-architettoniche di Lugano sono meglio tutelate,  ma si potrebbe fare ancora meglio. Infatti, a dimostrare le lacune della variante di PR approvata nel 2011,  è l'interrogazione urgente con la quale lo scorso luglio i verdi hanno sollecitato il municipio a istituire una zona di pianificazione per la tutela dell'intero quartiere di Montarina, una richiesta analoga della STAN e le polemiche sorte sulla mancata protezione di due edifici in via Loreto. Il primo oggetto di una domanda di costruzione alla quale la STAN si oppone, il secondo oggetto di una richiesta di messa sotto tutela da parte degli stessi proprietari. Frattanto, lo scorso giugno, il Consiglio di Stato ha reso noto di avere individuato 22 altri beni culturali da tutelare. Quel che è certo è che  se si avesse avuto il coraggio di stilare un elenco esaustivo sei anni fa,  anzichè corrrere ai ripari oggi chiedendo la messa tutela a posteriori di edifici snobbati a suo tempo, si sarebbe risparmiata la demolizione di altre testimonianze del patrimonio culturale, storico e architettonico di cui Lugano è stata privata negli ultimi sei anni.


Ortica



sabato 16 settembre 2017

A quando la revisione del PR di Gandria?


Il re è morto, viva il re! Alla luce di quanto riportato dalla stampa in merito al sentenza del Tribunale federale sul controverso progetto Lo Riso-Pacchin a Gandria, parafrasando la celebre frase potremmo commentare "Il Borgo degli ulivi è morto, viva il Borgo degli ulivi!". Dopo la bocciatura del TF, forti del fatto che l'edificabilità del terreno non è stata messa in discussione, i promotori hanno infatti comunicato di  intendere presentare un nuovo progetto concertato con le competenti autorità. E' più che mai urgente che il municipio di Lugano proceda alla revisione del PR del quartiere luganese e alla  sua protezione, unico modo per ... salvare il salvabile!
Ortica

A rischio una pregiata area lacustre a Magliaso: salviamola firmando la petizione









Lo scorso febbraio un progetto per l'edificazione di un complesso residenziale a Maroggia e in parte a Melano ha suscitato l'opposizione di numerosi cittadini, dei Cittadini per il territorio e della STAN.
Ora è la volta di Magliaso: a suscitare le ire di chi si batte per la tutela del territorio, la realizzazione su un terreno a lago di 2'800 metri quadrati di un complesso di dieci appartamenti. Il progetto comprometterebbe i delicati equilibri di un'area pregiata dal punto di vista paesaggistico e ambientale, caratterizzato da alberi di alto fusto, canneti e da una passeggiata a lago. Un comparto che fa gola ai promotori immobiliari anche se l'interesse pubblico del comparto dovrebbe e deve essere preminente rispetto a quello privato. Ricordiamo che stando alla Costituzione federale e cantonale, le rive dei laghi devono essere accessibili alla popolazione. A voler salvare questo lembo di rive pubbliche dall'ennesima speculazione immobiliare, una petizione per la salvaguardia di questa area verde lacustre. Vi invitiamo a firmarla e a farla girare,


Ortica




sabato 9 settembre 2017

il Tribunale federale mette KO il Borgo degli Ulivi a Gandria


Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire.  Il Tribunale federale ha messo definitivamente fine ad una vicenda che ha fatto scorrere fiumi  di inchiostro e tolto il sonno a fautori e oppositori del controverso progetto immobiliare "Borgo degli ulivi" a Gandria. Ci sono voluti ben sei anni tra ricorsi e controricorsi, ma quello che si apre oggi  grazie alla sentenza dello scorso 28 agosto  - ricordiamo che si tratta del ricorso interposto dai promotori del progetto contro la decisione del TA  - è un capitolo importantissimo per la tutela di Gandria: un capitolo che potrebbe (e dovrebbe) condurre alla revisione del suo piano di quartiere. Il PR di Gandria è, il men che si possa dire, obsoleto (risale al 1993), dunque del tutto inadeguato a tutelare un sito pittoresco in base al Decreto legislativo sulla protezione delle Bellezze naturali, un paesaggio di importanza nazionale secondo l'Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali e un insediamento svizzero di importanza nazionale secondo l'Inventario federale degli insediamenti da proteggere. 
D'altronde, come ribadito da Losanna, l'interesse pubblico è preponderante anche a front del rispetto dei parametri edilizi vigenti. Il tormentone sul progetto immobiliare promosso dall'ex sindaco Claudio Pacchin - proprietario del terreno sul quale già nel 2008 l'ex sindaco-architetto Giorgio Giudici aveva immaginato un complesso mai realizzato - ha comunque il merito di avere sancito - se ve ne fosse stata ulteriore necessità - l'importanza dell'ISOS, l'inventario federale spesso (volutamente) mal recepito dai promotori immobiliari come pure quella del principio dell'inserimento ordinato e armonioso nel paesaggio, principio altrettanto bistrattato, previsto dalla LST. Emblematico in proposito, quello che già scriveva la STAN nel 2013 nella sua opposizione al progetto Lo Riso: "Se si esamina il PR di Lugano/Gandria, ci si avvede che, per quel che concerne il comparto I-Ci II definito dall’ISOS, il documento comunale si trova in crasso contrasto con le prescrizioni dell’inventario nazionale che, essendo di diritto superiore, è prevalente. Il PR di Gandria va dunque modificato per armonizzarlo con l’ISOS e il PD08". 
 

Rimane ora da aspettare  quale sarà la mossa del municipio di Lugano. In proposito, L'Associazione Viva Gandria, nata proprio sull'onda del moto di contestazione al progetto Giudici, scrive: "Sono passati nove anni e il governo non ha mai dato risposta, nonostante la Costituzione riconosca ai cittadini il diritto di ottenerla "entro un termine ragionevole". In seguito, nell'ambito di varie procedure, la città di Lugano è stata invitata più volte dalle Commissioni federali e cantonale del paesaggio a modificare il Piano regolatore per il comparto sul quale dovevano sorgere le palazzine: senza esito." E conclude: "Auspichiamo che, almeno questa volta, l'esecutivo comunale dia una celere risposta per farci sapere quali sono i suoi progetti per Gandria".
Lo auspichiamo anche noi.

Ortica

lunedì 27 marzo 2017

Gandria: niente "Borgo degli Ulivi"!


Niente "Borgo degli Ulivi" a Gandria. La decisione del Tribunale amministrativo -di cui ho appena avuto notizia da fonte sicura- al ricorso del settembre 2015 dell'architetto Lo Riso pone la parola fine alla vertenza che si trascina ormai da anni sul controverso progetto. Uno schiaffo per il promotore, l'ex sindaco Luca Pacchin, al quale appartiene il terreno.  Condannato da più parti, il progetto prevedeva l'edificazione di un complesso di palazzine in un contesto paesaggistico unico e in un vasto comparto prevalentemente libero da costruzioni  censito dall'inventario ISOS.  La residenza "Borgo degli ulivi", stando alla sentenza contestata da Lo Riso, avrebbe costituito un fronte unitario senza scorci, deturpando irrimediabilmente l'armonia dei luoghi e contravvenendo così al principio dell'inserimento armonioso nel paesaggio. Contro la decisione, rimane un'ultima carta da giocare: quella del ricorso al Tribunale federale.
Ortica

venerdì 3 febbraio 2017

La paesologia di Franco Arminio e le ferite inflitte al paesaggio

Recentemente ho letto su "Il nostro Paese" (rivista della STAN) una recensione di "Terracarne" l'ultimo libro di Franco Arminio, figura irrinunciabile e emblematica del recupero e della valorizzazione dei paesi dimenticati dell'Italia meridionale, soprattutto dopo il devastante terremoto dell'Irpinia. Incuriosita, ho acquistato il libro e l'ho divorato. Una scrittura densa e accorata che ti prende e lascia il segno. Un messaggio che non lascia indifferenti e che lascia il segno: Terracarne" è un libro la cui lettura non può che arricchire, sia per come è scritto, sia per quanto è scritto. Intanto ve ne propongo la recensione pubblicata su "Il nostro Paese". Buona lettura.


Ortica
Franco Arminio è un paesologo. Anzi, è IL paesologo per antonomasia visto che è a lui che si deve l'invenzione di una nuova disciplina, la paesologia. E cos'è la paesologia? Per Arminio, la paesologia nasce quando i paesi stanno finendo; la paesologia è uno sbandamento percettivo: dallo sguardo sul proprio corpo allo sguardo sul corpo del paese e del paesaggio; la paesologia ha capito che i luoghi sono importanti; la paesologia immagina che due sono le cose primarie: il proprio corpo e il mondo esterno, tutto il mondo esterno, dalle foglie alle macchine posteggiate; la paesologia non è una scienza, ma un vento che viene da sotto.
La paesologia è soprattutto frutto dell'Irpinia, una "terra di nuvole e di silenzio" battuta dai venti ancor prima che squarciata dal terremoto: la terra di Franco Arminio, paesologo, scrittore, poeta, regista e camminatore, "annotatore" di stati d'animo e di paesaggi in modo quasi compulsivo, in un alternarsi continuo tra diario, reportage e poesia; ipocondriaco, fustigatore, insofferente all'indifferenza di sguardi e corpi spenti davanti ai segni di un paesaggio martoriato di cui quotidianamente stila mesti referti di morte. Un'autopsia del paesaggio, al quale Franco Arminio presta la sua voce vibrante e accorata, sdegnata e militante, ma anche afflitta e - a volte - rassegnata.
E in questo processo di totale identificazione con le sofferenze inflitte al paesaggio, il paesologo si fa lui stesso terra, "una terra di mezzo" perché - nel suo vagabondare per i paesi, nel suo attraversarli - finisce che "terra e corpo quasi si confondono e il corpo si fa paesaggio e il paesaggio prende corpo". "La paesologia - dice - non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. È una disciplina fondata sulla terra e sulla carne "ma anche una forma di resistenza intima" in quanto è un modo di non arrendersi "all'universale sfiatamento degli esseri e delle cose". Poiché Arminio è uno che "dalla carne soffre per la sua terra e dalla terra soffre per la sua terra".
Non stupisce dunque che abbia scelto "Terracarne" quale titolo del suo ultimo libro. Libro che dà conto del suo peregrinare per i paesi del Sud Italia alla ricerca di una cultura dell'abitare ormai affossata da un dilagante "discount dell'architettura" spesso frutto -accusa- della cabina elettorale. n vagabondaggio tra le pieghe più remote e nascoste di un territorio duro, a volte ostile, la cui ostilità verso la matita che ha ridisegnato in peggio la geografia dei luoghi ha preservato quelli "attraversati dalla poesia e dalla morte", quelli che assomigliano a "un calzino rotto appeso a un ramo in un giorno di vento". E questo suo sguardo intenerito verso i paesi dismessi e poveri, verso un tetto squarciato, un pavimento sfondato, un muro diroccato o un cane randagio si traduce in un errare quasi ossessivo alla ricerca degli ultimi "nidi di silenzio e di luce". Un'ossessione, la sua, liberatoria poiché alimenta una scrittura umorale, altalenante, come gli slanci e i tonfi del suo sentire.
E in questo suo vagare tra paesi e luoghi non più "figli della storia" - ma di un passato avvertito come una seccatura più che come una ricchezza, di una bulimia edificatrice che ha spazzato via l'alleanza di un tempo tra gli uomini e le cose -avverte, cocente, un doppio fallimento: quello della modernità e della civiltà contadina. E sono d'altronde i paesi più marginali, più discosti, i paesi minori, quelli scampati alla ferita e alla lacerazione del troppo pieno, all'"ematoma urbanistico", a fargli dire che "il mondo ha più senso dov'è più vuoto", che il poco che c'è è meglio del troppo che c'è altrove (ove per altrove intende i paesi giganti e le loro palazzine, apoteosi della speculazione edilizia). "Case di città in paese, case di paese in campagna, case di campagna in città, case ovunque" dove "l'altezza delle case è stata raggiunta senza una parallela crescita del livello di civiltà". Come non pensare a Tita Carloni.
In questa costante dicotomia tra vuoto e pieno si dipana il pensiero del filosofo, del poeta e dell'attivista Franco Arminio il quale, imbattendosi in "un paese che mangia aria, che mangia luce, che mangia vento", scopre come il mondo abbia più senso dov'è più vuoto. Perché sono questi luoghi appartati e spesso impervi - lontani dal paesaggio sprecato, imbruttito, "presidiato dagli uomini e dalle cose, "svuotato a furia di riempirlo" - a celare, come un dono prezioso pronto per essere scartato, la possibilità di riannodare con una vita più sobria riscoprendo quell'anima smarrita, intorpidita e accecata dall'invasione delle merci. "Quello che conta - scrive nel suo blog "Comunità provvisorie" - è sentire che la modernità è una baracca da smontare. Una volta che la baracca è smontata, piano piano impareremo a guardare la terra ce c'è sotto per costruire in ogni luogo non altre baracche, ma case senza muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un senso intimamente politico e poetico, un senso che fa viaggiare più lietamente verso la morte".
Forse per questo, la sua definizione di paesologia è quella di "scienza arresa": poiché privilegia il minimo, il minore, il residuo e lo sgraziato, i "paesi della bandiera bianca", quelli dove "il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare". Dove ogni fessura, ogni crepa, ogni muro segnato dal tempo raccontano l'esistenza di un legame forte tra la terra e chi la abita: o, per usare le sue parole, parlano di gente che appartiene al luogo come un albero appartiene alla terra, narrano di "un'Italia rimasta viva per sbaglio per le amnesie della politica, per i mancamenti del progresso". E allora non meravigliamoci se per Arminio il suo andar per paesi è  - come annota - allenarsi a guardare il mondo che sta arrivando. Perché il futuro "appartiene a chi crede alla terra e alla sua sacralità". Poiché, per quanto paradossale possa apparire, "il futuro non è partorito dalle avanguardie ma dalle retrovie".

























Quartiere San Giovanni protetto: Bellinzona capitale morale della tutela del patrimonio


Una decisione storica. Per chi  si batte per la salvaguardia del patrimonio, la tutela cantonale del quartiere San Giovanni di Bellinzona apre una nuova pagina tutta da scrivere. La decisione - una prima ticinese- fa ben sperare a fronte della febbre che l'apertura di Alptransit non ha mancato di suscitare tra i promotori immobiliari. Dopo lo scempio perpetrato ai danni del territorio del Sottoceneri, Bellinzona non poteva permettersi di compromettere in modo irriversibile un tessuto urbano sviluppatosi armoniosamente nel tempo.

Ed è proprio il quartiere di San Giovanni, costruito 120 anni fa sotto la stazione che - complice lo sfruttamento degli indici rimasto sinora inferiore a quanto consentito dal PR- sarebbe stato esposto maggiormente al rischio di essere stravolto completamente dall'appetito delle ruspe.

È l'insieme armonico del quartiere e la qualità architettonica dei suoi edifici ad avere spinto il Dipartimento del territorio a procedere alla sua tutela ai sensi della LBC mediante la modifica dell'estensione del perimetro di rispetto attualmente in vigore. Un passo che non sarebbe stato possibile senza la volontà politica del comune. A fronte dei rischi corsi dai beni potenzialmente degni di essere protetti, nel 2013 aveva deciso di correre ai ripari adottando - in attesa del nuovo  PR - una zona di pianificazione provvisoria che di fatto aveva congelato gli edifici all'interno del suo perimetro.

La decisione ha consentito di procedere all'esame preliminare dei beni passibili di tutela: e quanto scaturito, oltre la tutela del quartiere San Giovanni e quella di 15 nuovi oggetti di importanza cantonale, è la protezione di ben 177 beni di importanza locale. Che sommati ai 66 che già beneficiano di protezione nell'ambito del Piano particolareggiato del centro storico, li portano alla ragguardevole cifra di 243.

Il 2013, quindi, un anno di svolta. Ripensando alla demolizione del Villino Salvioni -  sfortunatamente allora non figurava tra i beni tutelati dalla città- a quella dell'ex istituto Soave, alla distruzione - sventata- di villa Carmine, o ancora alla petizione lanciata dalla STAN a difesa delle ville storiche (senza contare gli  interventi in consiglio comunale a difesa del patrimonio storico-architettonico della città), non si può non ricordare quanto scriveva una lettera aperta indirizzata quello stesso anno al sindaco Mario Branda: "Non è troppo per proteggere insieme unitari valorizzando un'eredità che la Turrita ha saputo conservare praticamente intatta".

Ebbene, nel giro di neanche un quadriennio, Bellinzona ha saputo sfoderare la volontà politica necessaria a salvaguardare quelle pregevoli testimonianze architettoniche che altrove -leggasi Lugano- una politica miope e affarista ha invece dato in pasto alle ruspe.

Ortica