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martedì 27 ottobre 2015

Spostare alberi: la formula E di Lugano riuscirà nell'impresa?

E' dei giorni scorsi la notizia secondo la quale per omologare il futuro circuito di formula E si renderebbero necessarie delle modifiche stradali. In concreto, la FIA chiede al comune l'allargamento di un metro e mezzo della carreggiata. Come fare? Spostando gli alberi di Viale Carlo Cattaneo? Una soluzione ventilata con prudenza dal municipio che si riunisce proprio oggi per risolvere ... l'irrisolvibile. Significativa, in proposito, la presa di posizione dei Verdi: "Spostare alberi maturi, mantenendoli in vita è estremamente difficile e costoso. Quindi parlare di spostamento è un modo diplomatico per dire abbattimento".



I verdi hanno perciò esternato le loro preoccupazioni in una lettera inviata al Municipio al quale - oltre ricordare che oltre 2500 persone avevano firmato la petizione "Salviamo gli alberti di Lugano" - ripetono l'invito a rispettare l'impegno preso a suo tempo di sostituire gli ippocastani tagliati, "parte integrante del viale protetto". I verdi non si oppongono al progetto di Formula E, "a patto che non lasci alcuna traccia negativa e permanente in città". "Non è accettabile sacrificare ulteriori alberi sani e maturi togliendoci altro ossigeno per un'unica manifestazione.

Concordiamo.

Ortica

lunedì 26 ottobre 2015

Pubblico integralmente un articolo di Salvatore Settis apparso lo scorso 16 settembre su Repubblica. Il tema della bellezza è caro allo studioso che qui lo affronta però in chiave volutamente provocatoria, intitolando la sua riflessione "Da Venezia al martirio di Palmira la bellezza non salverà il mondo". Leggete e scoprirete perché.
Ortica



LA BELLEZZA come medicina. La invochiamo sempre più spesso, contro la depressione o contro la crisi; ci consoliamo dei nostri mali ripetendo che “la bellezza salverà il mondo” (o l’Italia). Ma esiste una bellezza senza qualificazioni? Di quale bellezza, oggi, avremmo bisogno? La bellezza, si sa, è relativa. Per esempio, per il neosindaco di Venezia il bacino di San Marco è più bello se vi transita una mega-nave come la Divina.

Una nave alta 67 metri, il doppio di Palazzo Ducale, e lunga 333 metri, il doppio di Piazza San Marco. Non sono abbastanza belle, invece, le foto di Gianni Berengo Gardin, che presentano le grandi navi come Mostri a Venezia. Esposte dal Fai a Milano, le foto dovevano andare in mostra anche a Venezia, ma lo ha vietato un diktat del sindaco Brugnaro: i veneziani potranno vedere le foto (“immagine negativa di Venezia”) solo accanto al progetto di un nuovo canale per le mega-navi in Laguna (che sarebbe, dice lui, un’“immagine positiva”). Interessante idea: onde chi volesse fare una mostra fotografica sulla distruzione di Palmira dovrà affiancarla a un’altra con il punto di vista dell’Is; e una mostra di quadri sulla Strage degli innocenti non è ormai pensabile, a Venezia, senza un’altra che illustri le ragioni di Erode. Berengo Gardin è uno dei fotografi più famosi del mondo, e quelle sue foto piacciono a Ilaria Borletti-Buitoni (sottosegretario ai Beni Culturali), piacciono ai molti veneziani che il 6 settembre hanno inscenato a piazza San Marco un flash-mob coprendosi il volto con foto delle grandi navi. Ma il sindaco dice no. Quale bellezza salverà Venezia, quella dei mastodonti che incombono sul Canal Grande o quella delle foto che ne denunciano l’invadenza?

Nel suo impeccabile Liberi servi. Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere (Einaudi), Gustavo Zagrebelsky smonta l’uso della frase “La bellezza salverà il mondo” (prelevata da Dostoevskij): essa «è palesemente una sentenza enigmatica, e invece è diventata un luogo comune, una sorta d’invocazione banale e consolatoria, una fuga dai problemi del presente». Nei nostri paesaggi e nelle nostre città, la bellezza non può darci nessuna salvazione in automatico, assolvendoci da ogni responsabilità. Al contrario, la bellezza non salverà nulla e nessuno, se noi non sapremo salvare la bellezza. Come scrive Iosif Brodskij, va evitato ad ogni costo «quel vecchio errore, inseguire la bellezza. Chi vive in Italia dovrebbe sapere che la bellezza non può essere programmata di per sé, anzi è sempre l’effetto secondario di qualcos’altro, spesso volto a fini quanto mai normali». Non fu per un’astratta bellezza, ma in funzione della cittadinanza, del potere o della fede, che si innalzarono palazzi e cattedrali; non fu per provocare estasi estetiche, ma per esprimere, in dialogo con i concittadini, pensieri sulla vita, sul mondo e sul divino, che Michelangelo o Caravaggio posero mano al pennello o allo scalpello. E se le nostre città sono belle (quando ancora lo sono), è perché sorsero per la vita civile, come uno spazio entro il quale lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni avviene grazie al luogo e non grazie al prezzo.

Ma la bellezza “preter-intenzionale” delle città è devastata da una mercificazione dello spazio che ruota intorno a due feticci del nostro tempo, il grattacielo con la sua retorica verticale e la megalopoli in indefinita espansione orizzontale. Anche le piccole città “mimano” le megalopoli con quartieri-satellite, autostrade urbane e altri dispositivi di disorientamento. I centri storici si svuotano (il caso di scuola è Venezia), e fronteggiano un triste bivio: ora decadono a ghetto urbano riservato agli emarginati; ora, al contrario, subiscono una gentrification che li svilisce a festosi shopping centers o a enclaves riservate agli abbienti, e da centri di vita si trasformano in aree per il tempo libero, assediate da periferie informi e obese. Il paesaggio urbano diventa così un collage di suburbi, dove la distinzione fra quartieri segna una frontiera fra poveri e benestanti. Spariscono i confini della città (rispetto alla campagna), si moltiplicano i confini nella città. Il “centro storico” diventa un’area residuale, un luogo di conflitti la cui sorte dipende dagli sviluppi o dal ristagnare della speculazione edilizia, dall’andamento delle Borse, dal capriccioso insorgere di bolle immobiliari.

Eppure chi provoca tali devastazioni sbandiera invariabilmente la retorica della bellezza. Come ha scritto Brodskij (e proprio a proposito di Venezia), «tutti hanno qualche mira sulla città. Politici e grandi affaristi specialmente, dato che nulla ha più futuro del denaro. Al punto che il denaro si ritiene sinonimo del futuro e in diritto di determinarlo. Di qui l’abbondanza di frivole proposte sul rilancio della città, la promozione del Veneto a porta dell’Europa centrale, la crescita dell’industria, l’incremento del traffico in Laguna. Tali sciocchezze germogliano regolarmente sulle stesse bocche che blaterano di ecologia, tutela, restauro, beni culturali e quant’altro. Lo scopo di tutto questo è uno solo: lo stupro. Ma siccome nessuno stupratore confessa di esserlo, e meno ancora vuol farsi cogliere sul fatto, ecco che i capaci petti di deputati e commendatori si gonfiano di obiettivi e metafore, alta retorica e fervore lirico» ( Fondamenta degli incurabili, Adelphi).

La bellezza del passato è una perpetua sfida al futuro, scrive Brodskij. Ma la bellezza delle città non è estenuata e vacua forma, è prima di tutto vita civile. Perciò ha ragione papa Francesco a ricordare agli architetti che «non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco» ( Laudato si’ , § 150). Non c’è bellezza senza consapevolezza verso il passato e verso le generazioni future. La bellezza di cui abbiamo bisogno non è evasione dal presente: non c’è bellezza senza storia, senza una forte responsabilità collettiva. 

sabato 24 ottobre 2015

Mala edilizia e mattone selvaggio nelle denunce di Giovanni Bolzani e di Falò

Gli scandali di mala edilizia negli ultimi tempi si succedono con una frequenza sconcertante. In questo solo mese di ottobre, a tenere banco è stato il fallimento lampo dell'Adria, poi quello decretato contro l'impresa di costruzione Cea di Melide: in entrambi i casi, fanno da corollario scoperti per svariati milioni. Ed ora, a far parlare, è il fallimento di un'altra impresa di costruzione, questa volta denunciato dai banchi del Consiglio comunale dal consigliere PLR Giovanni Bolzani, da sempre attento al territorio. Al centro dell'interrogazione, un cantiere di Pregassona fermo da quasi un anno. Ne avevamo parlato anche noi nel nostro post del 27 aprile scorso "Maledilizia a Pregassona?". Stando a Bolzani, nel frattempo la ditta in questione sarebbe fallita, lasciando dietro di sé lo scheletro della palazzina in costruzione. Di sicuro, non naviga in buone acque. Come non pensare al caso Molina e al crack della sua società, il cui progetto immobiliare a Breganzona ha lasciato sul terreno due palazzine non ultimate? Dietro questi fallimenti spesso vi sono finanziamenti poco chiari, cumuli di precetti esecutivi, oneri sociale e salari non pagati. Ad andarci di mezzo, come sempre, maestranze e creditori.

La mala edilizia  è un male insidioso che, come ha denunciato la recente inchiesta di Falò "Mattone selvaggio",  si insinua nel tessuto sociale ed economico alla stregua di un tumore grazie a leggi spesso inadeguate e a sanzioni pecuniare irrisorie rispetto al danno che causa. Un tumore che si propaga anche tra chi dovrebbe far rispettare le leggi, come è il caso del sindaco di Corecepolo, comune dove nel 2011 è stata costruita una  strada prima ancora dell'ottenimento della licenza edilizia, accordata... nel 2014! A fronte di questo abuso macroscopico reso possibile dall'inossservanza spudorata della legge, il sindaco se l'è cavata con una multa di ... 700 franchi. Stesso discorso valgasi per l'aumento abusivo della SUL di uno stabile edificato a Vernate (aumento pari a 243 metri cubi, quasi un terzo in più di quanto consentito) denunciato dal sindaco del comune Giovanni Cossi, purtroppo inerme di fronte alla possibilità accordata dalla legge di acquistare metri quadrati in eccedenza ai confinanti.

L'abuso a Vernate; immagine tratta da Falò

Una legge che spalanca la porta agli abusi e favorisce i grossi speculatori con ingenti mezzi finanziari. Ecco allora che la politica del fatto compiuto sembra diventare sempre di più un modus operandi scelto deliberatamente nella consapevolezza di incorrere in sanzioni pecuniarie irrisorie rispetto al danno provocato. Ma a volte, fortunatamente, non è così. Ad Ascona, è esemplare il caso dell'attico abusivo costruito dall'ex vicesindaco (!) con il concorso, in guisa di architetto, del pianificatore comunale. Abuso sanzionato  con una multa pecuniaria di 5000 franchi e l'obbligo di ripristino dello stato antecedente i lavori.

Il ballo del mattone non conosce tregua e rischia di travolgere figure istituzionali chiamate a vegliare sul rispetto della legge. Come non pensare allo scandalo della villa di Davesco-Soragno edificata fuori zona edificabile e all'operato delle autorità comunali e cantonali preposte a far osservare le disposizioni in materia? Pur avendo difeso a spada tratta l'operato dei funzionai del DDT e ribadisto che tutto è stato autorizzato nel rispetto della legge, le asserzioni dell'ex consigliere di stato Marco Borradori a Falò non hanno aiutato a fugare i dubbi e fare interamente luce su una vicenda che presenta ancora diversi punti oscuri. Punti oscuri che l'avvocato Claudio Cereghetti, interpellato in proposito, ha sintetizzato così: "Ci si può chiedere come mai sia sia giunti al rilascio del permesso"!

Occorre reagire e agire con fermezza per impedire che il malvezzo mini la fiducia dei cittadini nelle istituzioni corrodendole dal suo interno. Occorre dotarsi di leggi più consone a fronteggiare un fenomeno che sta mettendo a prova il territorio nella sua componente più delicata: il rapporto tra autorità e cittadini. Benvenga dunque la chiarissima presa di posizione del Governo a favore dell'approvazione da parte del Gran Consiglio di buona parte dei postulati dell'iniziativa popolare della STAN "Un futuro per il nostro passato" per una più incisiva tutela del paesaggio. Poiché, riprendendo le conclusioni del mio post sulla mala edilizia a Pregassona, "i ripetuti casi di malcostume imprenditoriale richiedono una risposta ferma, corale e univoca da parte di tutti gli attori coinvolti, politici, imprenditori, sindacati. Occorre evitare che esso si diffonda ulteriormente e attecchisca definitivamente all'ombra di normative, mezzi e personale insufficienti come pure di un approccio inadeguato a fronte di una realtà di frontiera sempre più sotto pressione".

Ortica