"La società che rifiuta e nasconde la morte non lascia tempo e spazio alla trasformazione della materia che invecchia". Esordisce così, con queste parole vere e forti, Giancarlo Fornasier in un recente articolo dedicato ai ruderi, questi oggetti indesiderati da una "visione distorta e menzognera dello sviluppo urbanistico". Ma sono spesso proprio i ruderi a possedere quella "carica emotiva" che fa difetto agli edifici banali e standardizzati che distinguono l'architettura speculativa di cui pullula ormai il territorio.
foto:Beberan.com
Eppure, il più delle volte, il destino di quegli edifici a volte impropriamente chiamati ruderi è segnato: anziché intervenire per ridare loro "una decenza formale ed estetica", si preferisce lasciarli cadere nell'oblio ("atto supremo del rifiuto", scrive Fornasier, "di cui il rudere è la più alta rappresentazione") per poi abbatterli... con buona coscienza di tutti. Eccetto -dico io- di coloro che nella memoria vedono un collante sociale, un valore portatore di civiltà. Non era forse Croce che affermava che il paesaggio è la memoria della Patria? Ho ritrovato questa riflessione di Salvatore Settis, emblematica in proposito:
"Non si tratta di difenderlo in quanto bello ma in quanto memoria. Un paesaggio sul Carso devastato della prima guerra mondiale non è bello ma merita di essere ricordato. Perdere la memoria collettiva di un Paese o di una città è esattamente come perdere la memoria individuale per un uomo".
Ortica
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