A chi fosse sfuggito segnaliamo, pubblicandolo integralmente, un testo a firma Andrea Ferraretto pubblicato da La Stampa il 27 agosto in occasione del diciassettesimo anniversario della scomparsa di Antonio Cederna, il grande giornalista e intellettuale italiano noto per il suo instancabile impegno a difesa e salvaguardia del territorio. Sue, queste parole: "La lotta per la salvaguardia dei valori storico-naturali del nostro paese è la lotta stessa per l'affermazione della nostra dignità di cittadini, la lotta per il progresso e la coscienza civica contro la provocazione permanente di pochi privilegiati onnipotenti".
Buona lettura
Ortica
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immagine Archivio Cederna |
Sono trascorsi 17
anni da quando, il 27 agosto del 1996, scomparve un pilastro della cultura
ambientalista italiana. Il senso di vuoto che affiora ripensando alla passione
di Cederna è amplificato da questo periodo, critico e incerto, con l’Italia
appesa in uno scenario che non lascia intravedere vie d’uscita dal declino
dell’idea stessa di comunità
andrea ferraretto
L’estate permette, con i suoi tempi dilatati, di
far correre la mente, ricordando e riflettendo sul passato. Un esercizio della
memoria e della volontà per trarre insegnamento dalla storia, comprendendo il
senso delle cose e dando il giusto valore a ciò che conta veramente. Sono
trascorsi 17 anni da quando, il 27 agosto del 1996, è scomparso Antonio
Cederna. Il senso di vuoto che affiora ripensando alla passione di Cederna è
amplificato da questo periodo, critico e incerto, con l’Italia appesa in uno
scenario che non lascia intravedere vie d’uscita ma, piuttosto, un
deterioramento dei valori e il declino dell’idea stessa di comunità.
I valori sono stati il centro della vita di Antonio
Cederna: etica, responsabilità, competenza, impegno civile, di volta in volta
rivolti alla professione di giornalista, al ruolo di militante ambientalista,
all’azione dell’uomo politico, all’essere un esponente del mondo della cultura.
Con rigore ha saputo dire cose scomode, non accettando di tacere di fronte ai
disastri, alle manomissioni del territorio e del patrimonio culturale del
nostro paese.
Argomenti scomodi, un fastidio per la politica
diventata strumento di gestione del consenso e oggetto di scambio clientelare:
una scomodità che costò a Cederna l’essere posto nell’alveo degli
intellettuali, un po’ eccentrici, ma non adatti a governare. Troppo spesso
liquidato con l’appellativo di Cassandra, con la superficialità di chi non
vuole capire e affrontare realmente i problemi, preferendo l’improvvisazione di
soluzioni poco efficaci e di scarso rilievo.
Serve ancora oggi, nell’Italia del 2013, ricordare
chi scrisse libri che in realtà erano denunce e testimonianze, come I vandali
in casa, La distruzione della natura in Italia, Memorabilia Urbis, … . Serve e
sarebbe utile ripercorrere e studiare il suo archivio, vedere le interviste,
ascoltare la descrizione di come si costruivano periferie brutte e invivibili:
tutto il materiale, raccolto in decenni di attività, è oggi disponibile, grazie
alla sua famiglia che lo ha donato, affinché diventasse un patrimonio di
conoscenza collettivo. Una scuola dell’esperienza e del metodo di lavoro che
mise in cima alle priorità la comprensione dei problemi, studiando le soluzioni
e proponendo un modo diverso di affrontare le criticità, guardando all’Europa,
restituendo un valore al bene comune e affermando un ruolo ineludibile del
decisore pubblico. (www.archiviocederna.it)
L’attualità dei suoi scritti è ancora qui, sotto i
nostri occhi: l’incapacità di governare il territorio, di guidare lo sviluppo,
attraverso scelte di buon governo, fatti che possono risultare ovvii ma che,
ancora oggi, caratterizzano l’assenza di una politica che capace di fare della
sostenibilità la base per il futuro dell’Italia. Un’attualità resa ancor più
dirompente perché, già negli anni ’60, indicava nell’Europa il modello da
imitare, seguendo l’evoluzione dell’urbanistica e delle politiche di gestione
del territorio.
I dati relativi al consumo di territorio, alla
perdita di biodiversità, all’inquinamento nelle aree urbane, alle emergenze
“permanenti” come quelle dei rifiuti, del dissesto idro-geologico sono
inquietanti: l’Italia registra un ritardo e un arretramento rispetto agli altri
paesi europei, accumulando inefficienze e inadempienze. Non si tratta di una
posizione puramente estetica, da “anime belle” come l’avrebbe definita Cederna:
è un problema ben più complesso, fondato sul rapporto tra scarsità e
disponibilità di risorse. Si tratta, in realtà, di una questione civile e
culturale che può fare la distinzione tra una nazione e un’altra per il livello
di progresso raggiunto, per il rispetto della legalità e delle opportunità di
sviluppo alle quali accedono i cittadini. L’Italia oggi detiene il primato in
Europa per le procedure di infrazione alle norme comunitarie in materia
ambientale e in molte regioni il circuito economico legato alla criminalità
coincide, non casualmente, con un alto tasso di reati ambientali, favorendo un
florido settore che abbiamo imparato a chiamare “ecomafie” fatto di traffici
illeciti, corruzione e inquinamento.
Si continua a credere che sia sufficiente scrivere
le leggi, senza preoccuparsi di come farle rispettare, facendo crescere il
capitale sociale e la coscienza di una cittadinanza attiva. Siamo tuttora
bloccati a un modello dell’economia slegata dai processi ecologici e
dall’impatto delle attività dell’uomo sull’ecosistema dove l’energia diventa
un’emergenza se il petrolio raggiunge il prezzo di 100 dollari al barile ma non
ci poniamo il dubbio di comprendere quali costi collettivi, legati ai
cambiamenti climatici, non sono compresi in quel prezzo, ma pesano come un
macigno in termini di ritardo nell’adottare altri modelli fondati
sull’innovazione.
Nel frattempo un altro anno è trascorso così, con
boschi bruciati, discariche stracolme di rifiuti, città ammorbate dal PM10 e
dal monossido, spiagge con divieti di balneazione, alluvioni e frane, …, . Si
dirà che tutto questo è inevitabile, che non si può limitare il mercato: eppure
gli allarmi si fanno sempre più ricorrenti, il clima si sta modificando e le
soluzioni non possono essere sempre improntate all’emergenza, a provvedimenti
estemporanei.
Biodiversità, clima, trasporti, energia, acqua,
territorio, rifiuti, tutte tematiche che quotidianamente entrano con forza
sulle pagine dei giornali e nelle nostre vite ma che, con grande difficoltà, si
trasformano in politiche strutturali restando, spesso, inutili grida d’allarme,
titoli di giornale che durano pochi giorni, facendoci restare nel rischio
dell’emergenza e della catastrofe imminente. Le stesse emergenze di cui
scriveva Cederna, avvolte, oggi come allora, nella disattenzione. La
disattenzione che potrà essere più o meno colpevole ma sempre ancorata alla
convinzione che l’ambiente sia un serbatoio da consumare senza mai porsi il
dubbio circa la riproducibilità delle risorse e la responsabilità verso le
generazioni future.
Degli incendi estivi, diceva Cederna, bisognerebbe
parlarne durante l’inverno, quando è necessario programmare gli interventi,
predisporre i provvedimenti, rendere efficienti gli strumenti di tutela e di
prevenzione: un’idea alquanto bizzarra in un paese abituato all’emergenza e
all’ineluttabilità delle cose che accadono perché il destino è cinico e baro.
Un paese dove la regola non è la pianificazione bensì la deroga e il ripetersi
di condoni e prescrizioni, frutto di una corruzione diffusa e
dell’irresponsabilità di chi dovrebbe controllare. Eccoci quindi fermi nel
ritenere che l’ambiente sia un limite, un intralcio per il progresso, un
vincolo per la crescita economica misurata dal PIL: i boschi in fiamme, i fiumi
inquinati o il traffico congestionato nelle aree urbane sono ancora considerati
il costo da pagare per accedere a un maggiore benessere. Il PIL dimostra la sua
inadeguatezza nel misurare lo sviluppo di un’economia che non può basarsi
soltanto sulla quantità di beni e servizi ma dovrebbe registrare anche il
livello di qualità dello sviluppo, creando condizioni di maggior competitività
basate su scelte strutturali.
Antonio Cederna queste cose le vide e le denunciò,
con forza e fermezza, insistendo affinché l’opinione pubblica prendesse
coscienza e rinnegasse uno stato di cose come questo: alcune battaglie di
Cederna sono arrivate tal quali fino ai nostri giorni e, tuttora, sembra
impossibile ripristinare la normalità. Battaglie che, riascoltando gli accorati
interventi di Cederna, sembrerebbe ovvio che lo Stato facesse proprie, oggi più
che mai, riaffermando i principi di legalità e di buona gestione, definendo
obiettivi e programmi, affidando compiti e responsabilità in modo chiaro.
Eppure non è così: si continua a discutere dello
sviluppo delle città e delle condizioni di vivibilità delle periferie; si
insiste a mettere in dubbio l’utilità di parchi e riserve naturali; si minano
le condizioni minime per tutelare e proteggere il patrimonio storico, artistico
e archeologico; si considera il paesaggio come un intralcio per la crescita
economica; si resta immersi nella pigrizia e nell’assenza di visione, una
poltiglia che avvolge tutto e rende inestricabili i nodi.
Quelli che furono, cinquanta anni fa, i temi che
Cederna portò all’attenzione dell’opinione pubblica sono ancora lì, afflitti
dal disinteresse e dall’ignavia: il Parco regionale l’Appia Antica, i Fori, la
tutela dei centri storici, la difesa delle coste, la pianificazione delle
città. Di volta in volta si annunciano programmi straordinari e soluzioni innovative
ma, alla fine, restano solo l’abbandono e la precarietà, nell’assenza pressoché
totale di una visione di lungo periodo. Anche per Antonio Cederna ha funzionato
la regola che vuole che si dia maggior risalto e valore alle idee di coloro che
non ci sono più, spesso per un vezzo elitario, per dare solo maggior dignità
alle proposte, destinate a restare ipotesi o dichiarazioni di principio. Toccò
anche a lui la sorte di restare nella solitudine di chi vuole anteporre
l’interesse collettivo al profitto personale, la solitudine di chi scrive e
vorrebbe vedere le cose cambiare.
Sono trascorsi diciassette anni dalla sua
scomparsa: se Cederna fosse qui continuerebbe a essere una voce pungente e
brillante denunciando disastri annunciati e disattenzioni. Ben poco si è saputo
apprendere dalla sua intelligenza e dal suo impegno civile: i calendari
continuano a essere punteggiati con le date delle alluvioni, degli incendi,
delle frane, delle discariche stracolme, del caos sulle strade, delle città
invivibili. Continuiamo a ricordare i luoghi con le conseguenze delle nostre
disattenzioni, senza intravedere un’alternativa. Restano soltanto gli sprechi
irrisolti, i tagli irragionevoli e l’abbandono cronico.
La grande bellezza la vediamo solo nei film, ma,
una volta tornati nella realtà, siamo ancora lì, tra l’abbandono e la
desolazione, con la rassegnazione che possa cambiare ben poco. Antonio Cederna
resta un monito, utile se un giorno si decidesse di cambiare marcia, per
davvero.
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